Una città non è solo strade, piazze, chiese, cavalcavia, isole pedonali. anche esperienza di vita. Di generazioni di suoi abitanti. La storia, intesa come scienza, ha lasciato ad altre discipline lo studio della città. Costruita sui racconti della gente, questa è la storia di grandi prati attorno alla grande fabbrica che, sessant'anni fa, comincia a riempirsi dì case, vie, mestieri, abitudini. Diventa spazio urbano. E chi ci arriva dalla campagna diventa di città. Immigrati che, già solo alla fine dell'ultima guerra, si sentono reggiani come nessuno più di loro.

Tutto accade intorno alle «Reggiane», il simbolo di una società e di un modo di vivere, urbano e industriale, che cambia destino, mentalità e lingua della gente.

Sono in gran parte gli anni del fascismo. Dove tanto si modifica, ma dove non tutto - le identità sociali, per esempio - può essere mutato. Come la vecchia tradizione socialista, di campagna per lo più, che sopravvive, si difende e si coltiva nelle pieghe della nuova città. Più tardi finita la guerra, la fabbrica e la città, insieme, appaiono progetto e promessa di progresso, libertà, emancipazione. Infatti, caduta l'illusione, comincia una storia urbana non diversa da tante altre.

Antonio Canovi (1959) si occupa di storia dei fenomeni urbani. Ha pubblicato Il popolo è giusto. Un mito di città, Reggio Emilia, li Cantastorie, 1989.

Marco Mietto (1953) si occupa di storia della mentalità, nel suo intreccio con l'ideologia.

Maria Grazia Ruggerini (1946) ha compiuto ricerche di storia operaia e di sociologia (con la cooperativa Lenove).

Insieme hanno pubblicato Storie di fabbrica. Operai metallurgici a Reggio Emilia negli anni '50, Torino, Rosenberg & Sellier, 1988 e Faber est suae quisque fortunae. Gli studenti del Liceo Classico e dell'Istituto Magistrale di Reggio Emilia negli anni '30, in «Contributi» n. 21-22, 1987.