C'era un tempo in cui i beni di consumo erano merce: semplice valore d'uso, meri attributi funzionali e prestazioni tangibili. Oggi non c'è prodotto che non sia immerso in un bagno di comunicazione, avvolto in un'aura semantica e destinato ad una esistenza largamente relazionale. Questo profondo cambiamento s'è realizzato grazie alla marca e alla sua formidabile attitudine a generare senso, identità e calore intorno agli oggetti ai quali si lega.
La marca : uno strumento prezioso per le imprese, in grado - se ben gestito - di rendere unici, competitivi e parlanti, beni e servizi che altrimenti sarebbero anonimi, indistinti, muti. Capace di convertire agglomerati di materie prime in luoghi del discorso, territori del desiderio e persino "strumenti" etici. Talmente potente da provocare una moltiplicazione di valore: valore commerciale che si traduce in profitto per le aziende, ma anche valore simbolico e sociale.
Attraverso gli alambicchi ed i fornelli della marca, Nike ha trasformato una merce per atleti e mezzofondisti (le scarpe da corsa) nella quintessenza dell' eccellenza . McDonald's ha elevato un fast-food di periferia a pura efficienza . Pepsi ha trasmutato una bibita gassata e dolciastra nell'emblema di una intera generazione. Apple ha virato un buon computer in una forma mentis , un modo di pensare alternativo e creativo. Marlboro ha reso il puro tabacco al pari di un ideale di vita libera e selvaggia. Benetton ha sostituito la maglieria colorata con l' iconografia multietnica .
Una sorta di discorso alchemico quello della marca: un lavoro di alta ingegneria semiotica che opera sullo sfondo della cultura e della società, degli ideali e dei valori, delle sensibilità condivise e della simpatia universale.
Laura Minestroni insegna Sociologia dei consumi e Teoria e tecnica della promozione d'immagine presso le sedi di Milano e Feltre dell'Università IULM. Ha pubblicato, in questa stessa collana, Casa dolce casa. Storia dello spazio domestico tra pubblicità e società (1996).