Non è la prima volta che La Ricerca Sociale dedica un numero monografico alla complessa e ricca fenomenologia del volontariato e delle organizzazioni di volontariato.
Rispetto ai precedenti, l'approccio del presente volume presenta, accanto a nutrite continuità, alcune discontinuità in quanto dà conto di un certo cambio di spirito pubblico.
La prima discontinuità è data da una sorta di percezione di passaggio di fase. Si è chiusa la fase della grande espansione spontanea, degli ottimismi circa l'incontro sollecito tra Stato sociale (centrale, regionale e locale) e volontariato, un incontro anzitutto sperato attorno ad una legge quadro che disciplinasse l'insieme dei rapporti istituzionali.
Inoltre, sia nel mondo delle organizzazioni di volontariato, sia tra non pochi dei policy makers dello Stato sociale, si avverte che il fenomeno del volontariato si è fatto complesso.
Una verifica di tale complessità è data dalla difficoltà di definire il genus del volontariato e di differenziarlo da altre forme di privato sociale, di mutuo aiuto, self help, cooperazione di solidarietà sociale, ecc. Qualche tempo fa sarebbe bastata la definizione del volontariato come «espressione di pratico buon vicinato».
Oggi organizzazioni di volontariato a scala nazionale e internazionale, associazioni che hanno assunto compiti continuativi di integrazione convenzionata dell'assistenza pubblica, in campi di assistenza alle persone i quali richiedono collaboratori specialisti e professionali, ben difficilmente possono essere ristrette nei pur preziosi ambiti del buon vicinato.
Ma allora si può ancora dire che lo snodarsi delle iniziative tra il tradizionale volontariato di buon vicinato sino al volontariato organizzato con strutture nazionali e internazionali permanenti viene legato dallo stesso filo, appartiene al medesimo continuum?