"Non esistono, dunque, soltanto una fisiologia, una estetica e una dinamica: esiste anche una politica della cucina; una politica sociale ed economica". Così recitava il Programma, a firma del direttore Umberto Notari, apparso sul primo numero de "La cucina italiana". Ma esisteva anche una politica di genere della cucina. E del suo mutare nel corso del tempo, la rivista milanese dà fedele testimonianza, restituendo, accanto alle ricette, le ambiguità del fascismo nei confronti della donna. Allo stesso tempo, dalle rubriche filtrano modelli familiari, culture del corpo e gerarchie sociali, lasciando tuttavia intravedere la pervasività delle pratiche femminili del "familismo oppositivo" I graduali mutamenti che nel primo decennio accompagnano le due direzioni, ambedue al femminile, consentono poi di riflettere sull’esistenza e sui contenuti di un "femminismo fascista". Non è possibile ragionare sulla reale identità delle lettrici. Non bastano le poche righe - selezionate dalla redazione! - delle rubriche della "Piccola posta" o de "La collaborazione delle abbonate" o di "Corrispondenza tra le abbonate" per tratteggiarne un quadro esaustivo, né per dare conto del loro pensiero e delle eventuali forme di "resistenza" o negoziazione rispetto alle ambiguità del modello fascista. Tutt’al più è possibile intuire quale fosse la "lettrice modello" immaginata dal periodico o provare a tracciare un profilo delle lettrici attraverso i pochi dati offerti dalle lettere inviate. Questo articolo è la prima formalizzazione di un percorso di ricerca più ampio in via di trasformazione in un lavoro monografico che permetterà una migliore valorizzare delle fonti.