Nel 1987 mi è stata chiesta una supervisione all’équipe medico-infermieristica di una Divisione di Oncologia Medica, afflitta dai fantasmi prodotti dal lavoro con individui che stanno male e che nel 50-70% dei casi muoiono per le conseguenze della neoplasia. Dopo quest’iniziale esperienza, durata circa tre anni, presso l’Ospedale Maggiore di Niguarda, avevo proseguito il lavoro presso la Divisione di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera S. Carlo Borromeo di Milano, dove nei primi anni ho gettato le basi di un lavoro che è tuttora in sviluppo: il Progetto di Umanizzazione dell’Ospedale. Partendo dal fatto che Freud descrive una situazione particolare, la costrizione melanconica, in cui il soggetto è costretto strutturalmente a rinunciare alla lotta, allorché perde l’oggetto d’amore, delineo le basi per una psicoterapia ad orientamento psicoanalitico per pazienti oncologici, il cui orientamento di fondo assomiglia molto a quello del trattamento di pazienti melanconici o depressi. Dopo aver sottolineato le analogie evidenzio il fatto che la melanconia è nostalgia dell’ideale che pare essere alle spalle, del tempo passato andato perduto. Il melanconico piange cioè la perdita della mancanza dell’altro. Si spazia dal campo dell’investimento erotizzato a quello sublimato verso un individuo o verso le cose, i fatti, gli stati del mondo. Da quest’angolazione non si può pensare a una psicoterapia per la cura dei pazienti neoplastici, poiché i loro comportamenti fan parte di una radice sociale che è fuori del manicheismo medico: salute-malattia, bene-male. Possiamo tuttavia tracciare profili psicologici che aiutino a comprendere le manifestazioni umane, come espressione di un sapere che può in alcuni casi consentire un accoglimento medico, sociale, educativo e psicoterapeutico, in quei casi in cui venga richiesto.