Nel contesto di una psichiatria rivalutata come scienza umana, come scienza della intersoggettività, e non solo come scienza naturale che la comprende solo in parte, la diagnosi non può essere considerata nella sua ghiacciata e impersonale dimensione categoriale; ma deve essere riconsiderata nella sua dimensione problematica e interpersonale. Questo cosa significa in un contesto di psichiatria applicata alla clinica e alla riconoscibilità dei molteplici fenomeni della sofferenza psichica: definizione radicalmente antropologica, e non drasticamente naturalistica come è quella di malattia tout court? Non altro significa che, in psichiatria, come ha scritto una volta per tutte Kurt Schneider, i sintomi non hanno nulla a che fare con la loro riduzione naturalistica a segmenti pietrificati di una malattia in senso clinico; ma con esperienze vissute che narrano qualcosa di significativo storicamente, e soggettivamente, e che conseguentemente non possono se non essere interpretati. Non esistono fatti, ma interpretazioni di fatti, come ha scritto Friedrich Nietzsche; e così la diagnosi, in psichiatria, e cioè la connotazione neurotica, o psicotica, dei sintomi (la sola cosa che, in fondo, conti), cambia nella misura in cui nasca, o non nasca, una relazione terapeutica fra chi cura e chi è curato. La diagnosi, insomma, come esperienza, e non come pietrificata espressione di un incasellamento dei diversi sintomi in uno schema sindromico precostituito.
Keywords: Diagnosi, psichiatria, scienza della intersoggettività, esperienza vissuta