Questo articolo mira a chiarire alcune difficoltà relative al senso e al ruolo della legge di natura nella prima metà del Discorso sulla diseguaglianza. La prima riguarda il rapporto tra l’amore di sé e la pietà, le due passioni nelle quali Rousseau riconosce la radice pulsionale della legge di natura. La seconda riguarda invece la capacità di questa legge di applicarsi all’abitante del puro stato di natura, a quell’uomo naturale che sembra distinto dall’uomo civilizzato dalla puntuale soppressione di tutto ciò che, distinguendolo dall’animale, ne renderebbe possibile la moralità. Per risolvere queste difficoltà l’autore si concentra sui passi apparentemente marginali nei quali Rousseau prende in considerazione i rapporti dell’uomo con gli altri esseri viventi in generale e con i propri simili in particolare. Attraverso l’analisi del trattamento di una serie di casi particolari, dimostra in primo luogo l’erosione alla quale è assoggettata la pietà in quanto principio autonomo e possibilmente conflittuale rispetto all’amore di sé, e in secondo luogo il carattere fondamentalmente utilitaristico che questa subordinazione della prima pulsione alla seconda attribuisce alla morale del Discorso: una morale che, hobbesianamente, non ammette nessun giudizio legittimo al di fuori di quello che gli individui portano su sé stessi, e il cui confine rispetto alla violenza rischia perciò di divenire evanescente
Keywords: Amore di sé, Facoltà, Legge naturale, Morale, Pietà, Rousseau.