Tra le posizioni conservatrici, che sostengono l’immutabilità o, al massimo, la facile adattabilità delle categorie psicoanalitiche anche quando sono avvenuti importanti modificazioni socio-culturali e quelle, per così dire, rivoluzionarie, che sostengono una sorta di ateoreticità in nome della ricerca di narrazioni singolari, uniche, costruite dalla coppia analitica e non generalizzabili, l’autore propone una terza via, in sintonia con le posizioni di Ruth Stein, per cui prima di decostruire bisogna costruire, facendo riferimento a modelli teorici noti che ovviamente non vanno né assolutizzati, né feticizzati. Il bricolage di diverse posizioni teoriche permette un aumento della capacità osservativa e riflessiva dell’analista, per giungere non a una verità da scoprire, ma a una realtà relativa, però significativa, da costruire in quel momento, con quel paziente, con i materiali a disposizione nella relazione analitica.