L’autore nel commentare l’articolo sul caso clinico di un trattamento ad una persona con diagnosi di pedofilia e con la rivelazione di avere abusato di una minore, pone l’attenzione sulla centralità dell’etica alla professione di psicoterapeuta come professionista della cura quando gli aspetti giuridici lo obbligano al venir meno del segreto professionale. Entrambi questi aspetti debbono necessariamente incrociarsi laddove forse non possono mai coincidere temporalmente. Utilizzando uno sguardo sistemico sul lavoro delle autrici del caso clinico, l’autore sembra rintracciare la possibilità di rispondere all’etica professionale e al dettato giuridico attraverso un lavoro individuale con l’abusante che si sancisce solo dopo aver costruito un patto relazionale tra lui e lo psicoterapeuta. Patto che permette una prima e fondamentale assunzione di responsabilità da parte dell’abusante, per poi sviluppare il lavoro clinico sul riconoscimento dei meccanismi disfunzionali e l’apprendimento dei nuovi e più funzionali modelli interni. Ciò permette di lavorare con la coppia coniugale affinché venga costruito il contesto relazionale dove le dinamiche familiari e di coppia possono ricostruire il dramma dell’abuso. Infine l’autore ipotizza che un ulteriore spazio di terapia possa essere considerato, che preveda l’inclusione della minore abusata e così liberarla dall’identificazione con l’aggressore e dal senso di colpa per quanto accaduto. A ciò si può giungere solo se l’abusante davanti alla vittima riconosce la sua piena responsabilità dell’accaduto.
Keywords: Abuso sessuale; sex offenders; etica professionale; cura clinica e dovere giuridico; contesto relazionale; dinamiche familiari