L’articolo analizza il singolare e complesso rapporto che legò Freud alla figura di Mosè. Nei suoi viaggi, a lungo procrastinati, a Roma, il viennese sostò sempre a lungo davanti al Mosè di Michelangelo, da lui assunto come incarnazione della forza dell’Io, capace di reprimere e dominare i moti pulsionali. In L’uomo Mosè e la religione monoteistica, opera di cui a lungo rinviò la pubblicazione, Freud ricondusse la vita di Mosè al mito primigenio dell’uccisione del padre, e vide nel profeta il fondatore, non ebreo, dell’identità ebraica. L’opera propone, con l’ipotesi di un Mosè egizio, una tesi scandalosa per il mondo ebraico, ma di per sè plausibile e recentemente riproposta dalla archeologia e dalla egittologia. Nella sua profonda identificazione con Mosè, Freud vive sè stesso come il fondatore di una nuova "religione", la psicoanalisi, che egli avrebbe voluto emancipare dai rischi di una sua identificazione con il mondo ebraico. Nel rapporto con Mosè, padre dell’ebraismo, ma non ebreo, Freud rivive anche il rapporto, intensissimo e conflittuale, con il proprio padre. Al di là del discorso antropologicoreligioso e clinico-psicoanalitico, l’opera di Freud colpisce profondamente per la straordinaria audacia e libertà intellettuale dell’autore.