Ripensando ad una vicenda vissuta personalmente l’Autrice si chiede quanto essa possa aiutare a comprendere le cause dell’oblio che ha colpito per lunghi anni chi era stato offeso e chi aveva offeso. Può questa vicenda privata avere un grado di significatività anche rispetto al problema della dimenticanza, qualcuno ha parlato di rimozione, degli italiani rispetto alle violenze inflitte agli ebrei? La società italiana del primo novecento, così fragile nella sua recente identità, aveva forse visto in Mussolini quell’Oggetto-Sé idealizzato, capace di farle dimenticare divisioni, oppressioni da parte di stranieri, povertà. Ma la guerra, la sua drammatica fine, ingloriosa, ma soprattutto la guerra civile hanno inflitto la ferita traumatica. All’improvviso l’evento catastrofico si è abbattuto su un paese che sembra non avere strumenti per decodificare quello che stava succedendo. Un evento traumatico che culmina con l’uccisione del padre idealizzato. L’orrore della guerra, e soprattutto della sua fine come guerra civile, ha prodotto l’angoscia di perdita di un’identità nazionale. Ogni fatto che poteva evidenziare la corresponsabilità italiana nell’attuazione di forme di violenza, come la partecipazione al genocidio degli ebrei, impediva la colpevolizzazione degli altri, i cattivi tedeschi. Il silenzio, la rinuncia alla ricerca di un "perché" (Amati ricorda che ad Auschwitz "Hier ist kein Warum", Qui il perché non esiste) è stata la forma con cui la società italiana ha tentato di preservare un minimo di equilibrio narcisistico. Tuttavia è proprio la ricerca di quel Warum inesistente nei campi di sterminio, che può ridare dignità, nella dolorosa consapevolezza della fragilità umana, all’individuo e alla società.
Keywords: Identità, dis-identità, trauma, catastrofe sociale, arresto del pensiero, patto denegativo.