La metafora dell’integrazione è inestricabilmente collegata al lavoro psichiatrico. Da un lato ciò è dovuto alla natura biopsicosociale delle principali ipotesi eziopatogenetiche delle malattie mentali. Dall’altro al fatto che il modello del lavoro psichiatrico nei servizi pubblici italiani è basato sul gruppo di lavoro multi-professionale e sulla stretta integrazione dell’apporto di ciascun operatore con gli altri. Viene definita la natura processuale del termine integrazione a questi due livelli, nei suoi significati di stretta interdipendenza collaborativa e di aggiunta di qualcosa che risulta mancante. Quando le cose funzionano, il risultato è superiore alla somma aritmetica dei suoi componenti, così come diverso e migliore è il gusto del cocktail Martini, rispetto al gin e al vermouth bevuti separatamente. Il lavoro psichiatrico mette continuamente alla prova la tenuta psicologica-emotiva del gruppo di lavoro la cui resilienza è costituita dalla capacità di gestire di volta in volta i problemi, piuttosto che dall’assenza di conflittualità. Viene descritto un terzo possibile significato del termine integrazione nel passaggio dal piano delle teorie cliniche generali circa un disturbo e la sua cura, a quello della sua praticabilità terapeutica a livello dei Servizi. In questa accezione viene sottolineato il faticoso metabolismo mentale delle basi teoriche che consente di fare proprie le teorie e di personalizzarle nell’incontro col paziente. Vengono descritti infine alcuni aspetti problematici dell’integrazione nel trattamento dei pazienti con Disturbo Borderline di Personalità.
Keywords: Integrazione biopsicosociale, gruppo di lavoro, Disturbo Borderline di Personalità