Gli autori riflettono sulle difficoltà di comprensione - tentativi di omologazione e fraintendimenti - e sui complessi meccanismi psichici che si verificano negli operatori dei centri di accoglienza per migranti e negli stessi psicoterapeuti deputati a fornire supporto psicologico. Si soffermano sulle manifestazioni di sofferenza post-traumatica di coloro che vivono il dramma dello sradicamento, del pericolo di vita, di forme di schiavitù, di assenza di progettualità e di brusca caduta dentro un mondo di cui non capiscono le regole. Un mondo che dicendo di ac-coglierli li controlla, li segrega, e all’improvviso li dimette dai centri di accoglienza supponendo in loro una capacità di adattamento, integrazione e resilienza. Le esperienze traumatiche spesso e per molto tempo non trovano parole né adeguate rappresentazioni simboliche, per cui "parlano" attraverso somatizzazioni, lamentele fisiche, richiami a modelli della cultura d’origine, con effetto di sconcerto e di impotenza in coloro che sono chiamati all’ascolto e alla comprensione. Le differenze culturali pongono, secondo gli autori, non soltanto problemi di corretta interpretazione dei disagi e dei sintomi riferiti, ma anche domande sull’adeguatezza del setting e delle chiavi interpretative in uso nella nostra cultura. Nell’articolo si fa riferimento ad alcuni approcci transculturali e alla necessità, per gli psicoterapeuti, di uno spazio condiviso di confronto su vissuti controtransferali, spesso pesanti come macigni che, se non compresi ed elaborati, possono indurre ad atteggiamenti di rinuncia e di evitamento.
Keywords: trauma migratorio, fraintendimenti culturali, setting transculturali.
Stefania Baraldo, Emma Luciani, Alida Martignon, Amalia Mineo, Mariadele Santarone, Anna Tabanelli, Stefano Trinchero, in "INTERAZIONI" 1/2022, pp. 110-126, DOI:10.3280/INT2022-001012