Le residenze, il tempo e i paradigmi che da esso si snodano, possono rappresentare un segmento di paradossale cura-discontinuità nell’esistenza dei nostri pazienti o, viceversa, un percorso tanto ricco da sconvolgere non solo i parametri della psicopatologia ma quelli, ben più blindati, dell’assetto sociale che accoglie i pazienti stessi. Dall’esperienza comunitaria può e deve nascere un’attitudine a resistere, attraverso la consapevole sperimentazione di configurazioni nuove e solidali di relazioni interpersonali e sociali. Nella forma di un reportage da residenze più o meno utili, da focolari più o meno caldi, da équipes più o meno pluraliste, si delineano necessità ineludibili: la circolarità delle cure, l’equilibrio tra l’attenzione al mondo interno ed a quello esterno, la potenziale ricchezza di operatori del privato sociale molto prossimi al quotidiano del paziente, dimissioni nel segno della continuità e non millantate tali. Vengono proposte, infine, due modalità di identificazione del percorso residenziale: accoglimento temporaneo e congedo concordato, metafore di un tempo esperito secondo una modalità di continuità-discontinuità, propria dei legami sani e consapevoli.