Recentemente, la ricerca sta facendo significativi progressi non solo nella comprensione delle diverse funzioni cerebrali, ma anche su come migliorare il controllo dei sintomi, la funzione cognitiva, i comportamenti psicosociali, la qualità della vita e la self-agency nelle persone con malattie mentali gravi e persistenti. In molte di queste aree esistono interventi riabilitativi efficaci e gli esiti di recovery cominciano ad essere maggiormente definiti. È ormai assodato che i pazienti sono eterogenei nel loro percorso di ripresa, il quale si declina in diverse dimensioni, relativamente indipendenti l’una dall’altra. Nell’articolo si propone di definire il recovery in termini di miglioramenti in aree specifiche, piuttosto che a livello globale e generalizzato. Tale approccio potrebbe consentire sia di utilizzare una terminologia più peculiare, per facilitare la comunicazione tra professionisti, pazienti, famiglie, politici e amministratori, sia di superare l’equivalenza cronicità/ immodificabilità, dato che la misurazione degli esiti riguarda dimensioni tra loro strettamente correlate. Ciò significa che un paziente non è "cronico", ma funzionale o disfunzionale a seconda dei domini interessati. Elemento fondante di quanto finora affermato è il principio dell’ "assistenza centrata sulla persona", ispirata alla dimensione olistica, all’individualizzazione e all’integrazione dei trattamenti, al riconoscimento della persona oltre la malattia e alla collaborazione tra tutte le competenze professionali coinvolte nel piano di trattamento. Essa è l’opposto dell’ "assistenza centrata sulla malattia" o della "cura centrata sul medico" e si realizza nel "modello organizzativo integrato e orientato al destinatario", strutturato in team interdisciplinari, i cui professionisti provengono da diverse organizzazioni socio-sanitarie e condividono un comune paradigma.