La minorità designa uno stato di esclusione dalla piena partecipazione alla vita sociale e politica, un dominio delle circostanze sulla vita umana che si traduce in una sostanziale mancanza di libertà.
Se per Kant si trattava di una minorità colpevole, di un'opzione consapevole a non servirsi delle proprie facoltà per operare scelte autonome, nella prospettiva sociologica sembra più plausibile parlare di una minorità colpevole. In questo libro, attraverso una ricostruzione critica della teoria di Ralf Dahrendorf, si sostiene che l'uscita dalla minorità non è sempre e solo dipendente da una scelta volontaria da parte degli attori: gli strumenti per riacquistare il "dominio sulle cose", esemplificabili nei diritti e nelle risorse materiali, ma anche nelle istituzioni e nei valori che ne improntano i modelli riconoscitivi e redistributivi, non sono accessibili a tutti in eguale misura.
II potere e la proprietà di determinate risorse pongono alcuni soggetti nella condizione di determinare le chances di vita di altri, generando nuove forme di diseguaglianza e di confitto. Attraverso una ridefinizione dei concetti di libertà e uguaglianza, seguendo il percorso già tracciato da Dahrendorf, l'Autrice si chiede quanto la cittadinanza contribuisca a modificare la struttura sociale, quali rapporti sussistano tra società civile e stato, se esista una relazione tra società aperta e democrazia che possa far pensare a nuove istituzioni sociali e politiche in grado di garantire un'uscita dalla minorità a chi non ha il potere di farlo.