RISULTATI RICERCA

La ricerca ha estratto dal catalogo 104759 titoli

Paola R. Boscolo, Gianmario Cinelli, Eleonora Giordani, Francesca Guerra, Rossella Lorusso, Francesco Petracca, Paolo Petralia, Nicola Pinelli, Anna Arbo, Giovanni Migliore

Il processo di digitalizzazione delle aziende sanitarie verso la conclusione del PNRR: opportunità tecnologiche e risposte organizzative

MECOSAN

Fascicolo: 132 / 2024

Il processo di trasformazione digitale delle aziende sanitarie italiane ha conosciuto una significativa accelerazione durante l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), in particolare grazie agli investimenti previsti dalla Missione 6.Sulla base delle precedenti ricerche condotte da FIASO (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) e CERGAS (Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) SDA Bocconi, il contributo offre un aggiornamento sullo stato della digitalizzazione nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN), evidenziando le principali innovazioni tecnologiche e le relative implicazioni organizzative.L’analisi, condotta attraverso un confronto longitudinale tra due survey nazionali (2022 e 2024) su un campione di 19 aziende sanitarie pubbliche, mostra un netto miglioramento dell’infrastruttura digitale e dei sistemi informativi, pur con livelli di implementazione ancora disomogenei.I risultati indicano che l’efficacia della trasformazione digitale non dipende soltanto dalle risorse economiche e tecnologiche disponibili, ma anche dalla capacità delle organizzazioni di integrare tali soluzioni nei propri assetti di governance, nelle strategie aziendali e nelle competenze digitali del personale. In vista della conclusione del PNRR, la sostenibilità delle innovazioni introdotte richiederà il rafforzamento delle competenze digitali, dei sistemi di monitoraggio e valutazione e dei processi di apprendimento organizzativo, affinché la digitalizzazione possa consolidarsi come fattore strutturale di equità, efficienza e sostenibilità del SSN.

A cura della Redazione

Abstracts

STORIA URBANA

Fascicolo: 178 / 2024

L’articolo si pone l’obiettivo di tracciare una panoramica circa lo sviluppo del sistema difensivo bastionato, conosciuto anche come fortificazione alla moderna. Una parte ampia dell’indagine si concentra quindi sulle attenzioni che nel corso del Cinquecento sono state riservate allo studio della difesa per fiancheggiamento, grazie all’uso del fronte bastionato e a un ripensamento delle modalità difensive della città basato su un impianto urbano razionale e geometrico. Procedendo in ordine diacronico, la ricerca evidenzia quindi la necessità di porre l’attenzione su due fattori determinanti per capire gli interessi che nel corso del Seicento si sono concentrati sul fronte bastionato: lo sviluppo dei sistemi di calcolo e lo scoppio della Guerra dei Trent’anni. Le ricerche hanno inoltre interessato l’inquadramento dei progetti e dei trattati di Sébastien Le Prestre de Vauban nel sistema difensivo settecentesco, dimostrando quanto fossero importanti i cambiamenti introdotti nella Francia di Luigi XIV. La parte finale del lavoro è quindi incentrata sulla tradizione di studi italiani dell’Ottocento, che innanzitutto ha il grande merito di aver riscoperto il ruolo primario di Francesco di Giorgio Martini nello sviluppo della fortificazione alla moderna e quindi ha dato sistematicità storica alle ricerche dei secoli precedenti. In particolare sono oggetto di attenzione i lavori di Carlo Promis, Mariano d’Ayala, Alberto Guglielmotti ed Enrico Rocchi.

Giampiero Brunelli, Mario Rizzo

Un attore economico per la fortezza: l’impresario di Forte Urbano

STORIA URBANA

Fascicolo: 178 / 2024

Gli stati della prima età moderna si affidavano spesso ad appaltatori e fornitori privati per la logistica militare, anche all’interno di strutture altamente controllate come i forti bastionati. Questo articolo esamina alcuni attori chiave coinvolti nelle procedure finanziarie e logistiche nel Forte Urbano, vicino Bologna. Il depositario gestiva le finanze del forte; questa carica fu a lungo ricoperta da un’influente famiglia bolognese, i Tanari. Un’altra figura importante fu quella dell’impresario, che sovrintendeva all’approvvigionamento di munizioni e viveri, come pure alla vendita al dettaglio all’interno della fortezza. Insieme alle carriere di alcuni impresari del XVII secolo, vengono analizzati i contratti di appalto, che essi stipulavano.

Roberta Lucente, Giuseppe Canestrino, Gilda Catalano

Due fortezze “alla moderna” ai margini della forma urbana. Un’istruttoria progettuale per Ferrara e Castelfranco Emilia

STORIA URBANA

Fascicolo: 178 / 2024

Nell’ampio panorama delle fortificazioni e dell’architettura militare, le fortezze “alla moderna” si distinguono come manufatti architettonici dalle marcate caratteristiche formali, la cui evoluzione rivela affascinanti dinamiche di dialogo tra passato e presente. Originariamente progettate a scopo difensivo, queste strutture hanno subito profonde trasformazioni nel corso del tempo, assumendo diversi ruoli simbolici e sociali, spesso legati ai cambiamenti che hanno contribuito a determinare nel contesto urbano. Di particolare interesse sono i casi della fortezza di Ferrara, oggi simbolo dell’insicurezza urbana, e del Forte Urbano di Castelfranco Emilia, che attualmente ospita una casa di lavoro e di detenzione. Queste due fortezze hanno così assunto un ruolo marginale nell’equilibrio del tessuto urbano, dopo essere state per diversi secoli al centro del dibattito politico cittadino, anche perché manifestazioni fisiche del controllo dello Stato Ecclesiastico sui suoi territori. Per la fortezza di Ferrara e il Forte Urbano appare necessario costruire un percorso progettuale che integri analisi storiche, tipologiche e sociologiche, aprendo la strada a nuovi approcci per il riuso di questo prezioso patrimonio architettonico. L’articolo si propone di promuovere questa agenda, attraverso un approccio che aspira a stimolare un dialogo progettuale interdisciplinare e multiscalare.

Le fortificazioni costituiscono un tema centrale dell’architettura militare, in cui le innovazioni tecniche hanno indirizzato l’evoluzione della cultura architettonica e le applicazioni pratiche hanno avuto un impatto significativo sulle forme urbane. L’introduzione della polvere da sparo nelle operazioni militari ha modificato le forme delle fortificazioni, portando a una nuova tipologia “alla moderna” e al rinnovamento dei metodi di progettazione. Queste trasformazioni sono state veicolate anche attraverso un mezzo di comunicazione particolare, il trattato di architettura, che ha contribuito alla progressiva codificazione della fortezza “alla moderna” e del suo elemento più iconico, il bastione. Due esempi significativi, la fortezza di Ferrara (1598-­1618) e il Forte Urbano di Castelfranco Emilia (1627-­1634), offrono spunti preziosi per la discussione di questa transizione che intreccia teorie di architettura, arte militare e storia urbana. Il saggio attraverso la lente della trattatistica architettonica e l’evoluzione dei casi studio citati propone la discussione di temi importanti e ancora attuali, come l’influenza della tecnica nella genesi delle forme architettoniche e urbane, il rapporto tra genius loci e l’adozione di “modelli” progettuali, il valore simbolico di queste forme e i rapporti dialettici tra teoria e pratica progettuale.

La penisola ascolana compresa fra i fiumi Tronto e Castellano si presenta fin dalle origini come un luogo dalle straordinarie difese naturali. Ma se i lati sud, est e nord, percorsi dai fiumi e dalla loro confluenza, erano protetti da alte e ripide sponde, il versante ovest, approdo della via Salaria romana, rimaneva esposto a possibili attacchi dagli Appennini. Già nell’antichità, la città dovette quindi dotarsi di una cinta muraria che, particolarmente verso questa direzione, ne garantisse la difesa. La cortina ovest descrive un tratto rettilineo da nord a sud, risalendo il ripido Colle dell’Annunziata, punto più alto di Ascoli. Qui fu realizzato un presidio, il quale, indissolubilmente legato alla cintura difensiva, la modificò nel tempo, divenendo infine l’attuale struttura “alla moderna” della fortezza Pia. Questa fu attiva dalla metà del XVI alla metà del XIX secolo ma già in epoca medievale la vetta del Colle doveva essere dotata di una compagine delle mura, adeguata a ospitare una guarnigione. La lunga realizzazione di tale struttura strategica non fu quindi soltanto un episodio architettonico ma si intersecò a più riprese con la storia urbana. La fortezza Pia rappresenta l’esito di una sovrascrittura prolungata e, nella fase conclusiva, non priva di anomalie, specie in rapporto ai canoni della trattatistica cinquecentesca sulla fortezza bastionata. Questo testo ne indaga i principali passaggi soffermandosi in particolare sulla configurazione “alla moderna”, momento che ha cambiato la fisionomia delle mura e della stessa città di Ascoli.

L’articolo ricostruisce la politica difensiva nelle province settentrionali dello Stato pontificio (Ferrara, Bologna, Romagna) tra 1598 e 1640, esaminando il ruolo dei militari professionisti e delle milizie del contado. In questo quadro si inserisce la costruzione delle fortezze “alla moderna” di Ferrara (1598) e del Forte Urbano di Castelfranco Emilia (1628): nel primo caso, una fortificazione inserita nelle mura preesistenti di una città di nuovo acquisto, ma che viene staccata fisicamente dal tessuto urbanistico adiacente; nel secondo, una fortezza costruita ex novo in un momento di emergenza su un confine aperto di pianura, per controllare il passaggio su una strada di grande comunicazione. Il lavoro analizza tempi, obiettivi e realizzazioni concrete di questi due nuovi impianti, per capire come fosse immaginata la difesa di questi territori e con quale ruolo queste fortificazioni vi si dovessero integrare, passando in rassegna i problemi connessi alla loro costruzione (progettazione, direzione del lavori, finanziamento, reperimento della manodopera, dei materiali, dei mezzi di trasporto) e i loro attori sociali: gruppi politici di corte e locali, architetti e ingegneri, militari, artigiani specializzati, contadini usati come manovali. Emerge una diversa destinazione tra la fortezza di città e quella di pianura e si riflette sulla politica militare complessiva dello Stato pontificio (e dei piccoli Stati europei) di età moderna.

Le fortezze bastionate delle città dello Stato della Chiesa vanno lette come vere e proprie metafore della costruzione dello Stato moderno. Dall’inizio del Cinquecento, lo Stato pontificio dimostra l’intenzione di imprimere un ordine spaziale e simbolico sul territorio e nei tessuti urbani. Attraverso analisi di taglio interdisciplinare, che spaziano dalla trattatistica tecnica alla progettazione architettonica, dalla sociologia urbana alla microstoria economica, e a partire da casi pilota: Ferrara, Castelfranco Emilia, Ascoli Piceno, possono emergere il dialogo o il conflitto tra il potere pontificio e i ceti urbani, latori di proprie dinamiche economico-sociali. Tuttavia l’analisi storica, seppure in un’ottica multidisciplinare, non esaurisce il tema: le fortezze vengono oggi reinterpretate come potenziali risorse patrimoniali da reintegrare nella vita cittadina, in una prospettiva di riuso adattivo e rigenerazione urbana.

Martina Mattalia, Francesca Arduino, Gaia Bolognesi, Gaia Cornetto, Ludovica Piga

La legge n. 173/2015 alla prova della giurisprudenza

MINORIGIUSTIZIA

Fascicolo: 4 / 2024

Il contributo analizza l’applicazione della legge n. 173/2015 nella giurisprudenza italiana, con particolare attenzione al diritto del minore in affidamento a mantenere i legami affettivi con la famiglia affidataria. Si esaminano i limiti di legittimazione degli affidatari nell’agire in giudizio e il ruolo centrale del pubblico ministero. Ampio spazio è dedicato all’obbligo di convocazione degli affidatari nei procedimenti giudiziari, a pena di nullità, e alla possibilità di presentare memorie scritte. Il testo approfondisce infine il tema dell’adozione da parte degli affidatari, analizzando due pronunce inedite dei Tribunali per i minorenni di Messina e di Catania, che offrono due esiti opposti ma convergono nel riconoscere, in forma diversa, il valore della continuità affettiva per il benessere del minore.

Antonella Caprioglio

L’esperienza della Regione Piemonte sulla continuità affettiva

MINORIGIUSTIZIA

Fascicolo: 4 / 2024

L’articolo esamina il percorso intrapreso dalla Regione Piemonte per assicurare la continuità affettiva dei minori collocati in affidamento familiare, con particolare attenzione alla delibera regionale n. 17-6714 del 2018. Fin dal 2012, il Piemonte si è distinto per l’impegno nel valorizzare e tutelare i legami significativi creati dai minori, coinvolgendo attivamente servizi sociali, autorità giudiziarie e associazioni specializzate. Viene approfondito il concetto di continuità affettiva, intesa non soltanto come semplice mantenimento dei rapporti, ma come riconoscimento e valorizzazione della storia personale e relazionale del bambino. Centrale è il ruolo dell’ascolto attento del minore e della preparazione accurata delle famiglie affidatarie, adottive e di origine.

Maria Giovanna De Toma

Disgregazione familiare: restare genitori, rimanere figli

MINORIGIUSTIZIA

Fascicolo: 4 / 2024

L’autrice riflette sulle conseguenze che la crisi della famiglia comporta a carico delle relazioni genitoriali muovendo dalla parte dei bambini e dei ragazzi, in ciò coadiuvata anche dalle risultanze – emblematiche – di una recentissima ricerca scientifica sul tema, ed estesamente riportate. Filtrato attraverso i sentimenti e le emozioni dei figli, il dibattito sul macrotema dell’affidamento condiviso e della sua corretta declinazione pratica finisce, così, per transitare inevitabilmente dal piano della bigenitorialità a quello della cogenitorialità; una dimensione ben più responsabile e proattiva, dove il partenariato di ruolo può continuare a “funzionare” concretamente anche al di là della separazione fisica, assicurando ai minori figli ciò che loro stessi riconoscono come il bisogno più profondo e inalienabile: quello di mantenere relazioni sane e protettive con ciascun genitore.

L’articolo ha avuto la finalità di analizzare, attraverso una rassegna della letteratura, i principali effetti della separazione sui bambini. Per farlo sono state evidenziate le prevalenti dimensioni che sembrano dar luogo a processi relazionali disfuzionali, impedendo ai genitori di sintonizzarsi sui bisogni dei figli in modo sufficientemente adeguato o francamente disadattivo. Le evidenze empiriche sembrano evidenziare come il conflitto intergenitoriale giochi un fattore chiave sulla crescita dei figli e sulla loro stabilità affettiva e comporti importanti costi emotivi e di sviluppo.

Devi Vettori

Il trauma adottivo: ferita, memoria, responsabilità sociale

MINORIGIUSTIZIA

Fascicolo: 4 / 2024

Questo contributo riflette criticamente sul concetto di “trauma adottivo”, interrogandosi sui limiti di una lettura rigidamente traumatologica dell’esperienza adottiva. Pur riconoscendo il dolore legato alla separazione dalla famiglia d’origine, si propone una visione più articolata e dinamica del trauma, inteso non come condanna permanente ma come ferita che può essere attraversata, elaborata e integrata. L’adozione, infatti, non deve essere ridotta a una narrazione di mancanza o deficit, bensì riconosciuta nella sua complessità, come esperienza identitaria che evolve nel tempo e che può essere generativa. Il testo evidenzia inoltre come la sofferenza delle persone adottate non derivi esclusivamente dal passato, ma venga spesso riattivata dal contesto sociale: dallo sguardo esterno, dagli stereotipi, dal “bionormativismo” che continua a privilegiare il legame biologico come unico modello legittimo di famiglia. In quest’ottica, il trauma adottivo è anche responsabilità collettiva e questione politica: liberare l’esperienza adottiva da narrazioni predeterminate è essenziale per favorire percorsi autentici di consapevolezza e appartenenza. Solo restituendo dignità e pluralità alle diverse configurazioni familiari è possibile promuovere una cultura inclusiva in cui le cicatrici non siano solo segni di sofferenza, ma anche tracce di ricomposizione e resilienza.

Maria Laura Salerno

Oltre l’allontanamento: la continuità degli affetti come diritto e responsabilità

MINORIGIUSTIZIA

Fascicolo: 4 / 2024

L’articolo approfondisce il tema della continuità degli affetti nei percorsi di affido familiare, con uno sguardo concreto sull’esperienza dell’Associazione Kairòs. Partendo dal quadro normativo e dai dati nazionali sui minori fuori famiglia, il testo mette al centro il valore relazionale dell’affido come risposta educativa ed emotiva ai bisogni dei minori, in particolare di quelli considerati “difficili da collocare”. Viene presentato il modello Erh – Etica delle Relazioni Umane® –, la struttura del lavoro in équipe, il ruolo della supervisione e l’accompagnamento quotidiano delle famiglie affidatarie da parte dei Tutor Kairòs. Uno spazio rilevante è dedicato agli affidi sine die, alla gestione dei legami con la famiglia d’origine e alla necessità di valutare, caso per caso, la reale possibilità di garantire una continuità affettiva sostenibile e benefica per il minore, con le testimonianze di due famiglie affidatarie.

Han Lian Leclerc-Quintiliani

Tra rottura e ricostruzione della continuità affettiva. Memoria e riflessioni di una psicologa

MINORIGIUSTIZIA

Fascicolo: 4 / 2024

Ripercorrendo la propria storia di adozione e di vita, una psicologa racconta, alla luce delle principali teorie psicologiche e psicoanalitiche classiche e attuali, il progressivo dispiegarsi del processo di costruzione di significati e nessi tra esperienze e appartenenze diverse che ha reso possibile, nel corso degli anni, una continuità affettiva nella discontinuità.

L’articolo propone una riflessione sull’applicazione delle norme introdotte dalla legge n. 173/2015 all’esito di una ricerca qualitativa condotta tramite interviste a professionisti del mondo dell’affidamento che operano sul territorio nazionale. Dopo una premessa metodologica che illustra come sono stati individuati i professionisti e i contenuti dei quesiti loro formulati, il contributo esplora i significati plurimi del termine “continuità degli affetti” e le difformità nella sua applicazione, dalla fase dell’affidamento fino all’adozione o al rientro in famiglia. Si analizza il ruolo dei centri affidi nella sensibilizzazione, formazione e supporto alle famiglie affidatarie; il coinvolgimento degli affidatari nei procedimenti giudiziari; le modalità di accompagnamento di tutti i soggetti coinvolti nella conclusione dell’affidamento con il rientro in famiglia o il passaggio a una famiglia adottiva. In chiusura, vengono presentate le proposte e le riflessioni finali emerse dalle interviste ai professionisti.

Elena De Bernardi

Il ruolo dell’avvocatura in tema di continuità degli affetti

MINORIGIUSTIZIA

Fascicolo: 4 / 2024

Il contributo esamina il ruolo dell’avvocatura nella tutela della continuità affettiva dei minori in affidamento, alla luce della legge n. 173/2015. L’autrice analizza le diverse funzioni che l’avvocato può rivestire – curatore speciale, difensore degli affidatari, dei genitori o di altri parenti – evidenziando come ciascuna richieda una specifica attenzione all’interesse superiore del minore. Particolare rilievo è dato al compito dell’avvocato di garantire che il legame affettivo tra minore e affidatari non venga compromesso, anche dopo la conclusione del procedimento giudiziario. Il testo approfondisce inoltre la collaborazione tra i soggetti coinvolti (giudici, servizi sociali, affidatari) e le prerogative giuridiche dell’affidatario, sottolineando la centralità dell’ascolto e della rappresentazione delle esigenze affettive del minore nel processo decisionale.

Emma Avezzù

Continuità affettiva. Cosa rimane della legge n. 173/2015?

MINORIGIUSTIZIA

Fascicolo: 4 / 2024

Il contributo, scritto da un pubblico ministero minorile, propone una riflessione critica sulla concreta applicazione della legge n. 173/2015, centrata sulla valorizzazione del diritto alla continuità affettiva del minore in affido. L’autrice esamina due nuclei tematici principali: la necessaria convocazione degli affidatari nei procedimenti che incidono sullo stato giuridico del minore, e la valutazione della famiglia affidataria come risorsa adottiva nei casi di consolidati legami affettivi. Viene sottolineata la rilevanza dell’ascolto diretto degli affidatari, anche nei giudizi d’appello, e il ruolo del pubblico ministero nel vigilare sulle fasi di transizione del minore, specialmente in caso di rientro in famiglia o trasferimento. Il testo denuncia i rischi connessi a pratiche che, pur formalmente legittime, possono configurare “scorciatoie” verso l’adozione, e invita a rafforzare la progettualità e il monitoraggio nei percorsi di affido e post-affido, affinché la continuità affettiva diventi criterio effettivo e operativo nella tutela del superiore interesse del minore.