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In questa intervista Christophe Charle, storico dell’età contemporanea, ripercorre le tappe della sua formazione, la scelta della storia sociale come campo di ricerca, i maestri che lo hanno influenzato, la specializzazione nella storia sociale delle élites, degli intellettuali e della cultura, letteraria, teatrale, musicale e dei media, declinata sul piano nazionale ed europeo attingendo tanto ai metodi della microstoria sociale che a quelli della comparazione su vasta scala.
Le Nazioni unite vengono continuamente citate nel dibattito pubblico per i loro limiti e l’incapacità di tenere fede al ruolo di istituzione preposta al mantenimento della pace nel pianeta. Allo stesso tempo, questo sfaccettato sistema istituzionale ha fatto a lungo fatica ad imporsi come oggetto di ricerche storiche. Negli ultimi venti anni il quadro degli studi si è modificato, grazie a nuove tendenze storiografiche che hanno promosso una storia delle relazioni internazionali capace di guardare non esclusivamente alle vicende della diplomazia. Le nuove ricerche sulle Nazioni unite hanno messo al centro altri aspetti delle vicende umane, oltre che a tener conto di geografie e rapporti di potere sempre più diversificati. La complessità e la molteplicità delle attività del sistema Onu ne fanno un ambiente privilegiato per nuovi percorsi di una storiografia che ha l’ambizione di essere allo stesso tempo globale e plurale. Il saggio ripercorre e analizza questa dinamica area di ricerca, con la convinzione che lo studio dell’Onu possa essere un potenziale canale per una nuova stagione di ricerche anche per la storiografia italiana, oltre che una modalità di ulteriore connessione a network di discussione e confronto scientifico di carattere transnazionale.
Sul finire del XIX secolo due giovani esponenti del Movimento cattolico italiano iniziavano a scambiarsi delle lettere da un capo all’altro della Penisola. Uno dalla Val del Baganza, nella sua Parma, seguendo le orme del padre, aveva appena intrapreso la carriera notarile, l’altro dalla Piana di Catania sceglieva di prendere i voti. Si tratta di Giuseppe Micheli e di Luigi Sturzo che, animati dal comune desiderio di vedere realizzati i principi scolpiti da Leone XIII nella Rerum Novarum, intratterranno una fitta corrispondenza al fine di trovare rimedio alla difficile “questione della terra”. A partire da quel momento, come in un continuo crescendo, il loro impegno politico, dalle rispettive realtà locali arriverà fino al cuore delle istituzioni del Regno d’Italia, non senza incontrare ostacoli e incomprensioni. Dal recente rinvenimento di alcune lettere indite intercorse tra il notaio parmense e il prete calatino, il presente saggio, seguendo il filo della “questione agraria”, ripercorre il rapporto tra i due cattolici durante il primo ventennio del Novecento.
L’Eucalyptus di origine australiana acquisì importanza globale nel XIX secolo, quando, in varie regioni del mondo, alle sue essenze e ai suoi olii vennero attribuite proprietà curative antimalariche. Tra il 1860 e il 1880 l’interesse per l’eucalipto si diffuse anche nel Mediterraneo tramite uomini di scienza e persone comuni, che lo impiegarono nella lotta alle febbri. Questo articolo ricostruisce l’intreccio di acclimatazione, mobilità di umani e piante, e rapporti di lavoro che mise in contatto due importanti centri di diffusione dell’eucalipto nel XIX secolo, le pianure della penisola italiana e la piana di Mitidja nei pressi di Algeri. In entrambi questi ambienti malarici, i proprietari tentarono di intensificare i ritmi di lavoro piantando il cosiddetto “albero della febbre”. Questi tentativi di modificare ambienti e società di alcune terre dell’Algeria e dell’Italia produssero una sinergia tra flusso di conoscenze scientifiche transnazionale – in gran parte unidirezionale – e l’ampio utilizzo di questa pianta nel bacino del Mediterraneo.
L’articolo ricostruisce la vicenda di Anna/Hiemma per indagare l’agency di soggetti marginalizzati e le strategie da essi adottatate per la propria sopravvivenza. In particolare, analizza le modalità con cui Anna/Hiemma e i suoi schiavi cercarono di ottenere la libertà a Roma, opponendosi così agli sforzi dei redentori romani inviati ad Algeri. Contestualizzando le azioni di Anna/Hiemma all’interno di una rinnovata visione soteriologica del Papato e degli obiettivi politico-diplomatici della Curia, l’articolo riesamina l’importanza politico-diplomatica dell’Opera pia e delle pratiche di riscatto degli schiavi all’interno dell’agenda romana. Così facendo l’articolo, per prima cosa, mette in luce come Anna/Hiemma abbia incarnato una forma di soggettività capace di sfruttare l’agenda romana, pur essendone, al contempo, sfruttata. In secondo luogo, l’articolo dimostra come una narrativa di fuga sia stata trasformata in una storia di conversione, situata nel fitto reticolo interreligioso del Mediterraneo.
In questo articolo si propone una nuova lettura delle fonti inquisitoriali spagnole delle isole Canarie al fine di ricostruire alcuni aspetti inediti della cultura materiale e della società afro-canaria dell’età moderna. I fenomeni diasporici che interessarono le isole Canarie a partire dal XVI secolo coinvolsero molte donne nordafricane e subsahariane che attirarono l’attenzione dell’Inquisizione spagnola a causa delle “diverse” credenze che pian piano contribuirono a far circolare nella nuova società canaria. Analizzare le fonti inquisitoriali che riguardano le donne africane rende possibile collegare la storia dell’Africa con quella delle isole Canarie, attraverso elementi sinora trascurati, ma ampiamente studiati per altre aree dei domini d’oltremare spagnoli. Al centro di questa indagine vi sono alcuni degli oggetti utilizzati nelle pratiche rituali dalle donne accusate di essere streghe: la piedra de ara, la bolsa Mandinga e la nómina.
La caduta dell’Impero bizantino e l’espansione ottomana nel Mediterraneo orientale modificarono e riorganizzarono l’assetto politico-culturale di tutto l’Est balcanico. Questi cambiamenti incoraggiarono lo spostamento di diversi strati della popolazione. Tra questi, due gruppi, per ragioni differenti, attraversarono il Mediterraneo e si rifugiarono nel Meridione italiano: albanesi e zingari. Questo saggio propone un’analisi comparata delle diaspore albanese e zingara, due esperienze migratorie coeve che, pur partendo da contesti geografici e storici simili, generarono dinamiche di insediamento e integrazione profondamente differenti nel Regno di Napoli tra XV e XVII secolo. Attraverso l’uso critico del concetto di diaspora, la ricerca mette in luce le strategie di negoziazione adottate da queste minoranze, le forme di marginalizzazione o protezione ricevute e i meccanismi istituzionali che determinarono il diverso accesso ai privilegi. Ne emerge un confronto che consente di riflettere sulle pratiche di costruzione dell’identità collettiva, sui confini tra inclusione ed esclusione e sul ruolo della religione e della memoria nella legittimazione delle appartenenze.
La storiografia sul Mediterraneo ha prestato grande attenzione al tema della mobilità e ha talvolta affidato proprio alle questioni delle connessioni e disconnessioni tra i territori che su di esso si affacciano la definizione dello spazio mediterraneo. In questo contesto, specifiche tendenze storiografiche e i cosiddetti New Mediterranean Studies hanno affiancato alle dinamiche maggiormente esplorate – quali le diaspore, la religiosità – un rinnovato interesse per il ruolo di gruppi e individui considerati marginali, per la circolazione di oggetti, conoscenze ed elementi ecologici. Questa introduzione riprende la nozione di Mediterraneo allargato alla sfera atlantica e presenta criticamente i quattro contributi che compongono la sezione monografica. I casi studio in esame analizzano le mobilità di albanesi e zingari nel Regno di Napoli nei secoli XVXVII; la circolazione di oggetti di cultura materiale legate alle donne afro-canarie e l’ambigua identità di Anna/Hiemma a Roma e Algeri nel XVI secolo; la fortuna dell’eucalipto tra Italia e Algeria francese nell’ottocento.
Le utilities italiane dei servizi a rete (acqua, rifiuti, energia) si trovano al centro di un contesto in forte cambiamento: dal clima, all’innovazione tecnologica, alla demografia, con le sue pesanti ricadute sul mondo del lavoro. Le politiche europee stanno ridefinendo gli orientamenti e i percorsi di mitigazione e adattamento per il prossimo futuro. Per interpretare queste sfide occorre completare la governance dei settori, promuovere il consolidamento industriale e l’innovazione, adottare nuovi strumenti economici dedicati. In questo percorso la regolazione incentivante (ARERA) ha un ruolo di primo piano.
L’articolo esplora le implicazioni etiche e giuridiche dell’Intelligenza Artificiale (IA) per enti pubblici e privati. L’IA offre grandi potenzialità, ma comporta rischi significativi per i diritti fondamentali, richiedendone un uso responsabile. Il contributo analizza gli obblighi di compliance derivanti dalla normativa europea, in particolare dall’AI Act, che classifica i sistemi IA in base al rischio e impone requisiti rigorosi per quelli “ad alto rischio”. Vengono evidenziati gli aggiornamenti necessari ai modelli organizzativi, specialmente quelli relativi alla privacy (MOP) e alla corporate compliance (Modello 231), per integrare l’IA in modo etico e prevenire illeciti: in tal senso, l’autore propone di utilizzare l’IA come strumento di “compliance digitale” e di prevenzione dei reati, senza che questa possa sostituire la supervisione umana. L’articolo si sofferma, inoltre, sugli aspetti di responsabilità civile, sull’importanza dello strumento contrattuale e sulle implicazioni in materia di tutela dei lavoratori.
Essendo stata istituita orma da parecchi anni, può svolgersi un “tagliando” alla regolamentazione della performance negli enti pubblici, partendo dalla spinta innovatrice delle disposizioni del D.Lgs. 150/2009, osservando la necessità di legare detta specifica regolamentazione con le altre regolamentazioni tipiche degli enti, tra le quali le enfiate regole finanziarie o quelle relative alla trasparenza, non dimenticando di leggerle unitariamente, e di interpretarle tenendo conto di stare all’interno dello specifico contesto ordinamentale, proprio degli enti pubblici a base democratica.
La lettura dei dati sulla spesa pubblica territorializzata ha dato luogo da tempo una diatriba dovuta anche a fonti statistiche inconciliabili (CPT vs RGS ed ISTAT). Nei dati contabili della Ragioneria di Stato, inclusivi anche della spesa indiretta degli enti, la spesa pubblica è poco differenziata territorialmente tra Centro-Nord e Mezzogiorno. Fanno una differenza le regioni a statuto speciale con minoranze linguistiche e la regione della Capitale. Depurando dall’effetto delle regioni anomale e della spesa per le sole prestazioni pensionistiche da contributi, la spesa risulta maggiore nel Mezzogiorno. Nelle statistiche dei Conti pubblici Territoriali, che mostrano gravi problemi di coerenza con le fonti statistiche nazionali, applicando le due correzioni dette, la differenza diverrebbe non significativa. Le regioni piccole ricevono trasferimenti più importanti sia al Sud che al Centro-Nord. In alcuni contesti territoriali la distribuzione di risorse pubbliche in rapporto al PIL è tale da mettere in dubbio la permanenza di incentivi corretti a lavorare nel settore privato, e genera importanti incentivi di rent-seeking.
Municipal waste management is a significant issue in the European Union (EU) due to the quantities and diverse composition of waste generated by households, commercial activities, and public services. This contribution provides a definition of municipal waste as well as an overview of the key targets deriving from EU waste legislation. It then describes the EU municipal waste governance, market structure, and funding sources. It briefly recaps the current levels of municipal waste generation and treatment in EU27. Finally, it looks into the asset and financing needs required to meet the ambitious municipal waste management targets set by the EU.
The study aims to investigate the linkage between the livelihood assets of cocoa farming households and the technical efficiency of cocoa farmers in East Java Province. The survey method was used to achieve the research objectives. Analysis data was divided into 3 parts, including the concept of livelihood assets with pentagonal assets used to analyze the level of livelihood assets of cocoa farmer households, stochastic frontier production used to estimate the technical efficiency of cocoa farming, and the linkage between livelihood assets and technical efficiency is analyzed using Pearson correlation. The results show that the livelihood assets of cocoa farmer households in both Banyuwangi and Trenggalek Regencies are included in the moderate category with an average score of 3.17 and 3.33. The technical efficiency of cocoa farming in Banyuwangi is 60.74% while Trenggalek is 80.12%. The linkage between livelihood assets and technical efficiency in Banyuwangi is weak, while Trenggalek is moderate.
This study presents a comprehensive bibliometric analysis of the food bank literature, highlighting the role of food banks in addressing the global challenges of food insecurity and waste. Food banks operate at the nexus of waste reduction and hunger alleviation, collecting excess food and distributing it through a network of charities to communities in need.This study traces the scholarly evolution of food banks, highlighting key trends, contributors, and thematic clusters from 1997 to 2022. Bibliometric mapping tools are used to examine the dynamic research landscape and identify influential authors, journals, and the geographical spread of contributions. The analysis reveals a significant increase in research output post-2015, correlating with the global agenda towards Sustainable Development Goals. The United States and Canada have emerged as leading contributors, with the research network indicating robust international collaborations.Thematic analyses through keyword co-occurrence, co-citation, and bibliographic coupling uncover the multidisciplinary nature of food bank studies, encompassing public health, social policy, and environmental sustainability. Key findings from cocitation and bibliographic coupling analyses indicate a shift towards a holistic understanding of food banks’ roles within societal and policy frameworks, emphasizing health outcomes, operational strategies for managing food waste, and the sociopolitical impacts of austerity measures. This paper underscores the importance of continued interdisciplinary research and innovative policy formulations to ensure that food banks effectively address the complex dynamics of food insecurity.Despite its limitations, this study offers a robust foundation for future exploration in this field, providing support for broader inclusivity and diversity in research.
In January 2024, widespread farmer protests across Europe exposed growing tensions between the socioeconomic realities of agricultural production and environmental policy ambitions. Among the most contested issues, pesticide use emerged as a critical friction point, symbolizing broader dilemmas at the intersection of environmental sustainability, food security, and farmers’ livelihoods. In response, the European Commission launched the Strategic Dialogue on the Future of EU Agriculture, a participatory platform aimed at fostering consensus among diverse stakeholders and redefining the direction of EU agricultural policy. This paper explores the Strategic Dialogue’s contribution to shaping EU pesticide policy through a qualitative content analysis of its final report, triangulated with official stakeholder statements and EU policy documents. Focusing on the discourse on pesticide reliance reduction, sustainability trade-offs, and policy implementation challenges, the analysis applies a deductive-inductive coding framework to investigate the Dialogue’s effectiveness in promoting deliberative governance and how the competing priorities were negotiated within the participatory process. The findings indicate broad stakeholder support for synthetic pesticide use reduction and restoring ecological balance, alongside recognition of the knowledgebased, structural, and economic barriers that hinder the transition. The report advocates a phased reduction strategy, supported by targeted financial support for small-scale farms and an increased investment in sustainable alternatives such as biocontrol and Integrated Pest Management. Furthermore, the analysis underscores the importance of ensuring balanced stakeholder representation and addressing power asymmetries in participatory policymaking. The paper contributes to understanding the potential of the Strategic Dialogue’s initiative to generate cooperative responses to complex agrienvironmental challenges by situating pesticide policy within the wider framework of deliberative sustainability governance.