I nuovi studi di storia politica, economica e intellettuale global parrebbero suggerire una qualificazione del XVIII secolo come, prima ancora che riformatore - quale siamo abituati a definirlo in omaggio e adesione alla magistrale sintesi di Franco Venturi - «globalizzatore». Il Settecento emerge qui come secolo caratterizzato da una storicamente decisiva diffusione di persone, merci, capitali, finanziamenti statali, società commerciali, burocrazie, che raggiunsero in quell’epoca scala trans-nazionale e trans-continentale. Questa espansione impregnò il dibattito intellettuale dei philosophes, attribuendovi un’enorme capacità d’impatto sul presente e sul futuro dell’umanità. A fronte di tali conclusioni, questo articolo vuole introdurre una prospettiva in qualche misura dissonante, concentrandosi su un aspetto finora scarsamente fatto oggetto di analisi. Si tratta del faticoso e largamente incompiuto processo di deregolamentazione delle forme di concessione della cittadinanza e dei diritti di proprietà a stranieri da parte degli Stati europei di Antico regime. Recuperare lo studio di tali vicende, come qui si vuole fare attraverso l’esempio dello Stato di Milano nell’epoca delle riforme teresiane e giuseppine, consentirebbe, ritengo, di stemperare l’enfasi «globalizzante» con cui si legge un’epoca la cui cultura giuridica e politica, e i cui assetti sociali e cetuali, erano fortemente imperniati su equilibri di potere stabilitisi tra Medioevo e prima età moderna.