L'oggetto immemore

Due esempi letterari, tratti da Junger e da Mann, offrono all'autore lo spunto per interrogare una frontiera radicale al di là della quale la memoria non è in grado di accampare diritti.

L'oggetto immemore concerne una dimensione dell'esistenza del soggetto mai dimenticata perché preliminare alla funzione stessa del ricordo. Se viene trascurata, nella conduzione della cura, l'interpretazione incontra lo scacco di cui gli psicanalisti si sono resi conto sul principio degli anni venti.

Attraverso alcuni frammenti tratti dalla pratica psicanalitica, l'autore studia quel versante della clinica che, al di là del recupero dei ricordi perduti dell'infanzia, mira al luogo silenzioso intorno a cui ruota ogni trattamento. t una sorta di luogo mitico inaccessibile, un paradiso perduto da cui kafkianamente il soggetto è bandito senza esservi mai potuto entrare. Da questo godimento, indimenticabile perché fuori-memoria, derivano tanto la sofferenza nevrotica quanto le resistenze che si incontrano nel corso della cura.

L'autore mette in risalto la presenza di quest'oggetto silenzioso anche nel modo di produzione artistica, valorizzando la funzione della mitopoiesi il cui fulcro risiede nella nozione freudiana di fantasia.

Fanny & Alexander, il film di Bergman, considerato in questa prospettiva, è presentato come modello d'analisi del testo artistico, dove viene colto nel vivo l'artificio attraverso cui la sublimazione riesce a esprimere una verità indicibile, la stessa con cui lo psicanalista si trova ad aver a che fare nel trattamento della nevrosi.

Libro a molte dimensioni, riapre il dialogo della psicanalisi con la cultura moderna mettendone in luce il posto chiave nel complesso dei saperi contemporanei.

Marco Focchi, psicanalista, vive a lavora a Milano. Oltre a diversi articoli su riviste specializzate italiane e francesi e alla voce Sonno/sogno per ['Enciclopedia Einaudi, ha pubblicato La lingua indiscreto. Saggio sul transfer come traduzione (Angeli, 1985).