La parabola del comunismo sovietico attraversa quasi per intero il nostro secolo; l'illusione degli anarchici che l'Ottobre rosso possa rappresentare l'inizio di una nuova era nella storia dell'umanità si consuma nel volgere di pochi mesi. Tanti ne bastano perché all'entusiasmo per la rivoluzione scoppiata in piena tormenta di guerra nel Paese di Bakunin e di Kropotkin e presto tramutatasi da "politica" in "sociale", subentrino forti perplessità sull'indirizzo autoritario e accentratore impresso dai bolscevichi.

L'interesse vivissimo per lo straordinario esperimento che si sta realizzando nel Paese dei Soviet e la solidarietà fattiva con la Russia di Lenin in lotta contro la reazione non impediscono infatti agli anarchici di percepire con immediatezza i sintomi premonitori dei processi degenerativi insiti nella pratica bolscevica della dittatura del proletariato: svuotamento progressivo dei soviet, accentramento burocratico, esasperato dirigismo economico, esercizio totalitario del potere da parte del Partito comunista.

Sin dalla fine degli anni Venti, la critica libertaria al regime sovietico, oltre a sottolineare la continuità dello stalinismo con la gestione leniniana del Partito e dello Stato e l'ineluttabilità della degenerazione della dittatura in tirannide personale, sviluppa i temi degli elevati costi umani insiti nella collettivizzazione forzata delle campagne, del consolidarsi della burocrazia quale nuova classe dominante, della mistificazione rappresentata dall'assiomatica coincidenza d'interessi tra la "Patria del socialismo" e il movimento operaio internazionale.

Santi Fedele insegna Storia dei movimenti e dei partiti politici nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Messina.