LIBRI DI GILBERTO DI PETTA

Gilberto Di Petta, Danilo Tittarelli, Raffaele Vanacore

Il medico psichiatra: chi era costui? Riflessioni sulla crepa dello specchio

RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA

Fascicolo: 1 / 2022

Le forme del conoscere, dell’essere e dell’agire psichiatrico sono state tutt’altro che stabilite una volta per tutte. Gli attuali strumenti accademici di formazione si sono appiattiti da tempo su di una linea semplicistica e riduzionistica. Nel Secondo Novecento una serie di condizioni aveva conferito alla figura dello psichiatra una centralità mai avuta prima nella storia: la chiusura/ridimensionamento dei manicomi, l’introduzione e la diffusione degli psicofarmaci, l’avvento del concetto di "salute mentale" territoriale. Il suddetto riduzionismo, però, ha scelleratamente decomplessizzato la figura dello psichiatra, il cui problema identitario è, così, divenuto ancor più pressante, fino ad implodere, come l’immagine alla rottura di uno specchio. La psichiatria, infatti, a differenza di altre branche mediche, mette in gioco un fattore antropologico, quello della "follia" e delle sue modalità di manifestazione e di costituzione. Se questo fattore, storicamente, era considerato decisivo nello strutturarsi e nel rivelarsi della cosiddetta "malattia mentale", in epoca più recente la bonifica della psichiatria dalle paludi della follia ha prodotto, a nostro avviso, e in maniera speculare, una rottura nella costituzione identitaria dello psichiatra. Chi è lo psichiatra se non è più in grado di tenere acceso il dialogo tra la società e la follia? La questione della follia mette in moto, come legna che alimenta il fuoco dell’umano, la ricerca del senso e della cura. Lo sradicamento della follia dal territorio dell’umano ha prodotto una classe di psichiatri in cerca d’autore, partecipi di una quotidiana messinscena clinica, senza alcuna pretesa di comprensione, di cura e di libertà. Le sole, queste ultime, a poter consentire uno specchiarsi non deforme - attraverso il prisma umano dello psichiatra - della "follia" e della "norma", in quanto entrambe espressioni della vita.

Antonello Correale, Francesca Cangiotti

Il soggetto nascosto

Un approccio psicoanalitico alla clinica delle tossicodipendenze

Il libro vuole affermare il ruolo essenziale dell’approccio psicoanalitico alle dipendenze, intendendo per psicoanalisi non solo un metodo di cura, ma un modo complessivo di concepire il soggetto umano, come le sue difese e i suoi desideri. La psicoanalisi ci permette, infatti, di ricercare il soggetto nascosto nelle tossicodipendenze e di aprire nuove vie per una sua riscoperta e un suo recupero.

cod. 1246.3

Gilberto Di Petta, Danilo Tittarelli

Esserci nel sognare

RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA

Fascicolo: 2 / 2017

Quali sono le condizioni di possibilità del sognare? Quali sono gli apriori onirici, se esistono? Come si dà, il sognare, sul piano dell’esperienza? Come si declinano il tempo e lo spazio del e nel sognare? Il corpo e i sensi che modi di espressione hanno nell’esperienza onirica? La fenomenologia sembra interessata a formulare e a rispondere a questo tipo di quesiti, e ciò comporta mettere tra parentesi i contenuti del sogno, che invece sono quelli che più comunemente calamitano l’attenzione. È come se fare della fenomenologia del sognare significasse, in primis, dare conto di come il sognare si struttura in esperienza, e di come questa esperienza si inscrive all’orizzonte del mondo-della-vita. La fenomenologia, nell’applicarsi al sogno, fa della forma, o della struttura del sognare piuttosto che del contenuto, il suo cavallo di battaglia. Un esempio probante di come l’esperienza onirica metta in questione gli elementi strutturali della fenomenologia è dato dall’incrocio indissolubile, nel sogno, dell’elemento atmosferico con quello eidetico. Il seguente lavoro è incentrato sul sogno e sul sognare come esperienze peculiari dell’esserci-nel-mondo dell’uomo, che determinano e strutturano la situazione esistenziale dell’esserci-nel-sogno, ovvero del sognante come di colui-che-è-nel sogno.

Gilberto Di Petta

La "Psicosi Sintetica" da nuove sostanze psicoattive (NPS). Comprensione psicopatologica di un caso clinico

RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA

Fascicolo: 2 / 2015

La diffusione epidemica di nuove sostanze psicoattive (NPS) nella popolazione giovanile si sta traducendo in un incremento di sintomatologie a carattere psicotico, molte delle quali necessitano di ricovero in SPDC. Le NPS, infatti, di derivazione sintetica, sono a base di stimolanti, dissociativi e/o allucinogeni. Non essendo i SerT in grado di far fronte a questo ingravescente fenomeno, né nella fase acuta, né nella post-acuzie, questi pazienti, ove mai la sintomatologia non receda dopo un congruo periodo di tempo, finiscono per essere assorbiti nella filiera della "psichiatrizzazione": revolving in SPDC, comunità residenziali e strutture intermedie. In non pochi casi la destinazione diventa il carcere a causa di reati connessi all’abuso di sostanze. Questo lavoro mira ad isolare una tipologia di psicosi indotta da sostanze che l’autore definisce "psicosi sintetica", per distinguerla dalle psicosi classiche, o endogene, schizofreniche o affettive, l’essenza della quale consiste, in una prospettiva fenomenologica, nell’avere sintomi psicotici, non nell’essere psicotici. La disamina psicopatologica è condotta dall’Autore basandosi su di un caso clinico paradigmatico, il Caso G., etichettato come schizofrenico paranoide, il cui universo delirante si mostra reattivo ad un sistema di percezioni alterate dal costante utilizzo di sostanze. In assenza di riscontri neurobiologici l’Autore ritiene che solo un’accurata semeiotica psicopatologica del caso singolo possa guidare il clinico nella diagnosi differenziale e nella impostazione del trattamento,con sviluppi prognostici spesso più favorevoli rispetto alle psicosi tradizionali, e, in ogni caso, meritevoli di diversa attenzione. Il pericolo di un abuso della diagnosi categoriale psichiatrica (DSM-5 o ICD 10) applicata ai pazienti abusatori di sostanze è che i dati epidemiologici sull’andamento delle psicosi avranno un’impennata, e che il sistema della Salute mentale si troverà nelle condizioni di sovraccaricarsi di pazienti che, fondamentalmente, sono affetti da psicosi organiche, secondarie alle sostanze, dunque esogene, e pertanto bisognosi di trattamenti psico-riabilitativi specifici.

Gilberto Di Petta

Davanti all’aurora: il delirio tra nostalgia e memoria

RIVISTA SPERIMENTALE DI FRENIATRIA

Fascicolo: 2 / 2012

In questo lavoro la relazione tra memoria e delirio viene declinata in due momenti distinti: la memoria del delirio e la memoria delirante. Il piacere legato all’atto di conferimento (aberrante) di significato (apofania) dopo il caos dell’apocalissi rimane indelebile nella memoria del paziente psicotico, la quale, a sua volta, oltre che memoria della rivelazione diventa capace essa stessa di produrre materiale delirante retrospettivo o retrodatato. Entrambe queste memorie sono cruciali nel determinare le riacutizzazioni psicotiche. Così come gli studi sulla Salience sono stati traslati dal campo dell’addiction al campo della psicosi, allo stesso modo il problema della recidiva delirante può essere accostato alla recidiva tossicomanica, e la nostalgia del delirio al craving per lo stupefacente. Questo parallelismo è dettato dal fatto che, come la memoria del piacere fusionale con la sostanza stupefacente è indelebile, allo stesso modo è incoercibile il potente richiamo nostalgico che la memoria della pienezza apofanica esercita nella grigia fase post-acuta. Questa funzione della memoria asservita al delirio, su un altro piano, è cruciale proprio per tenere viva l’identità del paziente, messa in crisi dalla quotidiana e respingente estraneità di un mondo nel quale egli non si sente più a casa propria. Considerando, dunque, la forte impressibilità degli albori psicotici ("l’ora del vero sentire") sulla memoria del sé è fondamentale, nell’incontro clinico e nella relazione terapeutica, costruire le basi affettive per una via d’uscita dalla psicosi. La relazione empatica tra il clinico e il paziente, se dotata di una certa intensità, rappresenta l’ultima chance per costituire una sorta di nuovo terminus a quo da cui far procedere, quasi ex novo, ma non più da soli, la narrazione della propria esperienza e della propria esistenza.