Un'area economica, inserita in un mercato globale dove la competitività si gioca sull'alta produttività tecnologica, o per converso su bassissimi salari da terzo mondo, non possedendo né l'una né gli altri quale futuro potrà mai avere?

Non vi è un reale pericolo che questi sub sistemi, permanendo lo stato di cose, vadano sempre più atrofizzandosi?

Quanti sono i sub sistemi che, all'interno del Mezzogiorno, corrono questo rischio?

E il Mezzogiorno non potrebbe essere considerato esso stesso tutto un sub sistema nei confronti di quello nazionale o se vogliamo mitteleuropeo?

Gli scenari che si aprono, ponendosi queste domande, sono vastissimi.

L'economista traccia strade: spetta alla politica seguirle o darsi percorsi diversi; ma siamo proprio certi che gli schemi economici a cui solitamente facciamo riferimento, siano essi di origine neoclassica, keynesiana o marxiana, sono in grado di descrivere quello che oggi sta realmente accadendo nel Mezzogiorno?

La rivoluzione tecnologica che crea produttività e distrugge posti di lavoro tradizionali, i tanti mezzogiorni che bollono all'interno dell'Unione Europea, il nuovo scenario internazionale ridisegnato dai mutati rapporti est-ovest, il decentramento internazionale delle attività produttive, la globalizzazione dei mercati, le inarrestabili migrazioni di popoli anche verso aree meridionali impongono una rivisitazione complessiva dello stesso concetto di Mezzogiorno. Il Mezzogiorno d'Italia oggi ha anche questo problema: ritrovare una sua chiave di lettura.