Il Quarto Congresso degli Ingegneri ed Architetti Italiani (Roma, seduta del 27 maggio 1883) approvando il celebre documento, proposto da Camillo Boito sul restauro, codificò i criteri e le pratiche accreditate per l'intervento sui monumenti dalla cultura ufficiale italiana della fine del secolo scorso. li singolare successo dei precetti boitiani nei successivi enunciati di Gustavo Giovannoni, nella stessa Carta di Venezia del 1964, ma anche negli scritti e nelle opere delle avanguardie degli anni Trenta, testimonia come la storia e la teoria dell'architettura siano state e siano ancora condizionate - anche quando si richiamino ad ascendenti teoretici apparentemente opposti dal determiniamo storiografico positivista. Una così estesa fortuna contribuisce inoltre a spiegare come le contraddizioni, la distanza fra le parole e le cose, fra la teoria e l'opera che pare almeno ad osservatori distratti il minimo comune denominatore di cent'anni di restauri, siano in gran parte il risultato della progressiva astrazione del dettato boitiano dal suo contesto, per ridurlo a quelle "parole e concetti che hanno perduto i loro oggetti" di cui secondo Robert Musil, è gremito «il mondo dello scrivere e del dover scrivere», la cultura ufficiale e professionale.

I saggi raccolti in questo volume, incentrati sull'esame sistematico degli scritti, dell'insegnamento, degli interventi sui monumenti meno noti, rifiutano di scindere l'opera del Boito, secondo un uso invalso subito dopo la sua morte, separando i suoi contributi alla teoria dell'architettura, con gli scritti e gli edifici realizzati, dagli altri multiformi interessi del personaggio, in primis la tutela dei monumenti. Essi mirano viceversa a restituire l'intrico e la complessità del pensiero di colui che anche attraverso il velo dei clichés storiografici non ha ancora perso il suo ruolo ormai centenario di «felice patriarca degli architetti italiani», di tranquillizzante simbolo, ma al tempo stesso, di specchio deformante del sapere architettonico e delle sue realizzazioni, l'autore di Senso si conferma ancora una volta al limite - poiché tanto vaste e variegate sono state le sue riflessioni, le sue curiosità - shakespeariana, inquietante «ombra di Banco», per le coscienze dei suoi apparentemente devoti posteri.