Nessun altro tema come la guerra potrebbe meglio contraddistinguere il pensiero politico moderno, che sembra mosso dal bisogno di annullare il contrasto tra i cittadini per trasformarlo in scontro tra stati; ma parimenti nessun'altra dottrina saprebbe caratterizzare più chiaramente il pensiero premoderno, che invece è percorso a tutti i suoi livelli dall'idea che il dissidio sia in qualche misura intrinseco alla vita umana e che esso si possa certo governare e limitare, ma mai annullare. Su un tale complesso intreccio di concordia e disordine, giustizia e violenza questo libro si ripromette di gettare luce per mettere in risalto la ricchezza della riflessione premoderna, che della guerra formulò una dottrina complessa non solo perché vide confrontarsi tradizioni divergenti, ma soprattutto perché concepì il dissidio come un fenomeno plurale, attivo al cuore di molti processi politici.
Questa nozione polisemica ci aiuterà allora a comprendere il passato, ma allo stesso modo potrà illuminare anche il linguaggio del presente perché essa c'induce a chiederci se sia ancora lecito utilizzare il principio della "guerra giusta" e quale significato spetti ad esso; quale rapporto intercorra tra il conflitto e la giustizia e se si possa ricercare il bene con la violenza; se e fino a che punto la vita in comune si basi sullo scontro e sul contrasto e se possa mai esistere un ordine politico che non conosca dissidio.
Merio Scattola, Maurizio Merlo e Fabio Raimondi svolgono attività di ricerca nell'ambito della storia del pensiero politico presso l'Università degli Studi di Padova; Giuseppe Pirola SJ è docente dell'Istituto di Studi Filosofici Aloisianum di Padova; Stefano Visentin è borsista presso l'Istituto Storico-Politico dell'Università di Urbino; Giuseppe Tosi insegna all'Universidade Federal da Paraíba (João Pessoa, Brasile).