La definitiva affermazione della sociologia in Italia si è realizzata, nel secondo dopoguerra, attraverso una ripresa di paradigmi di derivazione statunitense. Ciò avvenne principalmente in ragione del convincimento secondo il quale non esisteva un apprezzabile tradizione locale da cui ripartire o con cui potersi confrontare; le precedenti esperienze disciplinari maturate in ambito nazionale - specie tra il 1890 e il 1920 - erano valutate sia teoricamente che metodicamente mediocri e inutilizzabili.
Nella storiografia delle scienze sociali italiane ha così lungamente prevalso un atteggiamento di sostanziale rimozione nei confronti delle origini della sociologia, atteggiamento alimentato da stereotipi (perlopiù di matrice crociana) e portato a considerare le stesse non meritevoli di particolari approfondimenti.
Solo negli ultimi anni, dopo il ritorno di interesse per la cultura del positivismo, la configurazione della sociologia nazionale negli anni a cavallo del secolo ha in realtà iniziato a trovare un adeguato inquadramento. Oggetto del volume è la ricostruzione dei caratteri e delle vicende che hanno contrassegnato la presenza della sociologia in Italia tra la fine dell'Ottocento e la stagione della dittatura fascista. L'itinerario di diffusione, trasformazione e declino della disciplina in tale arco di tempo viene ripercorso e interpretato mettendo in luce le componenti endogene (tramonto della cultura positivista, aporie della riflessione) e le componenti esogene (opposizione di una rinata filosofia spiritualistica e soprattutto del neoidealismo crociano) che ne hanno condizionato l'epilogo.