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Negli studi, nelle revisioni e nelle linee guida, la “terapia familiare” dei disturbi mentali gravi fa oggi riferimento quasi esclusivamente agli approcci psicoeducativi, sia per singole famiglie che per gruppi di familiari e pazienti, che rientrano nella categoria degli interventi psicosociali/riabilitativi. A fronte delle numerose evidenze di efficacia ottenute dalla ricerca empirica, ripetutamente ribadite per diversi gruppi diagnostici, l’effettiva implementazione di questi interventi resta comunque scarsissima. Inoltre, la tenuta nel tempo degli esiti da essi ottenuti su diversi dominii non sembra estendersi molto al di là della durata dell’intervento. I risultati di uno studio osservazionale sulla implementazione dei Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare nel Dipartimento di Salute Mentale della ASL Roma 1 con oltre un milione di abitanti, sinteticamente riportati in questo contributo, offrono l’opportunità di riflettere su tali aspetti critici e prospettare nuovi sviluppi che si focalizzino, attraverso una trasformazione culturale prima che organizzativa, sui bisogni a lungo termine dei pazienti e dei familiari garantendo continuità e flessibilità, e la cui implementazione sistematica sia realizzabile in ogni nodo della rete dei servizi di salute mentale.
Ogni soggetto umano nell’intessere relazioni interpersonali, stimolato dall’originario costituirsi dell’attaccamento, è naturalmente determinato a ricercare il proprio benessere personale. Ciò avviene attraverso giochi relazionali che si esprimono in mosse comportamentali che attendono risposte di benevolenza quali affetto, stima, riconoscimento. In una dimensione circolare quindi ciascuno, fin dall’infanzia, è autore e attore di strategie: manda messaggi e ottiene risposte che vengono confermate o modificate per garantire le dimensioni positive che permettono di ottenere o recuperare il benessere personale. Solitamente molti dei giochi relazionali con cui chiediamo l’attenzione positiva degli altri, specie le persone significative, portano frutti positivi e gratificanti. Purtroppo, in certe sfortunate circostanze, la ricerca di riconoscimento e approvazione conduce a usare metodiche non solo infruttuose ma addirittura dannose proprio con le persone il cui riconoscimento è ritenuto vitale. Nell’articolo vengono quindi illustrati, in un’ottica trigenerazionale, i giochi a perdere, modalità improduttive continuamente utilizzate che, invece di condurre a risposte di benessere, portano frustrazione e delusione. Successivamente vengono presentate due classiche vie cliniche di risoluzione.
L’Autrice si sofferma sull’approccio terapeutico con il paziente con disturbo narcisistico di personalità. Mette in luce l’importanza del coinvolgimento della famiglia del paziente nel processo terapeutico. Inoltre, si oppone alla pianificazione tradizionale di sedute di psicoterapia, ma sottolinea l’utilità di mantenere un quadro consultivo per costruire una sfida gratificante per l’immobilità del paziente.
In questo articolo presentiamo il nuovo sistema clinico di assistenza multifamiliare che abbiamo istituito nel nostro ospedale diurno per bambini con un disturbo grave dello spettro autistico. Questo approccio prevede di riunire diverse famiglie in un contesto terapeutico, con la costante preoccupazione di coinvolgere i genitori nella cura dei bambini. Abbiamo accolto i genitori, i bambini e i fratelli di quattro famiglie per cinque sessioni distanziate di circa un mese. L’obiettivo principale di queste sessioni é quello di aiutare le famiglie a uscire dall’isolamento e a ritrovare un senso di competenza.
Nell’articolo “Dal teatro al cinema di Emma Dante: l’espressività del corpo” l’autrice parla di Misericordia, terzo lungometraggio della regista, tratto dall’omonimo spettacolo teatrale. Attraverso un percorso che parte dal primo lavoro teatrale, mPalermu, Dante mette in evidenza gli elementi che caratterizzano il suo teatro. Tra questi il più importante è l’espressività dei corpi degli attori. Grazie a una gestualità ripetitiva che svuota di significato ogni gesto la regista esprime simbolicamente l’impossibilità del cambiamento nella famiglia del Sud. Nella “realtà del cinema” accade invece che Arturo, il personaggio principale di Misericordia, riesce a cambiare grazie all’aiuto delle tre madri adottive.
Questo lavoro è frutto di un processo di messa in discussione rispetto alla mia pratica clinica nel periodo formativo della scuola di psicoterapia; il caso di cui ho scelto di approfondire la trattazione è una paziente che si è rivolta a me per una serie di sintomi somatici e dove il corpo ha assunto fin da subito un’importanza centrale. In particolare, ho voluto mettere in risalto il ruolo della relazione terapeutica, del controtransfert somatico e degli enactment controtransferali, che hanno assunto la funzione di contenitore di “elementi beta” (Bion, 1963) e supporto nella regolazione somato-psichica della paziente. Questo caso ha costituito per me una notevole sfida terapeutica, date le varie complessità che si sono presentate e l’importante livello di somatizzazione, che mi ha portato a interrogarmi molto su aspetti relativi alla diagnosi e al setting.
La sezione documenti, della nostra rivista, ha ospitato lavori che hanno rappresentato un punto di riferimento nell’evoluzione del pensiero neuroscientifico: pietre angolari, ancora attuali e fondamentali. Il lavoro qui proposto di Luigi Onnis contiene sicuramente queste caratteristiche, al tempo stesso affronta con un linguaggio, per noi nuovo, i luoghi del corpo e della sofferenza psicosomatica, considerandoli un ipertesto, fulcro di integrazione e di complessità. L’articolo, estratto dal suo ultimo lavoro: Teatri di famiglia. La parola e la scena in terapia familiare (2017), nel libro ha un più ampio respiro, collegandosi alle dimensioni epistemologiche molteplici dell’orientamento sistemico e alla metodologia clinica delle Sculture del Tempo Familiare; eppure, da solo, è capace di rappresentare le interinfluenze che connettono, in modo non lineare, il corpo individuale come simbolo all’interno di storie e miti familiari, scritti tra più generazioni, attraverso i linguaggi delle emozioni. Una visione sistemica: il corpo come fulcro di integrazioni e di complessità è stato gentilmente messo a disposizione da Bollati Boringhieri.
l’articolo ha origine dal tema della corporeità e del movimento per poi agganciarsi al’intersoggettività e dalla creazione dell’altertà nel rapporto terapeutico, individuale e di gruppo. Vengono esposti a titolo di esempio tre frammenti di storie cliniche nei momenti in cui accade il disvelamento di connessioni tra la rigidità che sclerotizza il presente e le norme familiari, divenute fedeltà, che si sono apprese nel passato. La tecnica dello psicodramma junghiano indivduale e di gruppo è lo strumento clinico che accomuna gli interventi riportati. In particolare è presente un caso individuale che dal sintomo specifico del paziente apre a uno scenario di segreti, lutti e sofferenze familiari, segue un sogno che sblocca il divieto familiare che si è manifestato con una situazione di enpasse in una supervisione in un contesto formativoanalitico per poi passare a una supervisione d’equipe dove uno scena vitale e gioiosa per il gruppo attiva l’iper razionalizzazione e la paura di un educatore connesse a regole familiari.
Il caso di Carla, una ragazza di 12 anni con cefalee croniche, evidenzia come i sintomi fisici possano essere espressione di un disagio emotivo non elaborato. Questo commento analizza il caso da una prospettiva cognitivocomportamentale, proponendo un’ipotesi di trattamento alternativa focalizzata sulla ristrutturazione cognitiva, tecniche di gestione dello stress e l’intervento familiare.