Le frontiere simboliche, temporali o geografiche che scandiscono la nostra esistenza trovano nell'esperienza di immigrati e rifugiati la loro più esemplare e talvolta dolorosa testimonianza. Nell'attraversarle, identità individuali e collettive si affrontano, si riconoscono e si trasformano, memorie comuni vengono disperse e ricostruite.
Queste vicende possono diventare teatro di eventi che assumono rilevanza clinica: l'etnopsichiatria è la disciplina che ne esplora significati e ragioni, che cerca di scoprire i linguaggi di una cura rispettosa delle differenze culturali e da queste differenze trae altrettante risorse terapeutiche. La sua pratica, rivolta in primo luogo a ritessere legami recisi , promuove oggi anche un ripensamento critico delle categorie diagnostiche e delle tecniche della psichiatria e della psicoterapia occidentale: in particolare di quelle che sono state elaborate per comprendere le vicissitudini psicologiche degli immigrati. Nel disegnare il proprio dominio di strategie teoriche e cliniche, nell'approfondire la conoscenza di altri universi della malattia e della cura, l'etnopsichiatria abita la zona di confine di saperi e problemi eterogenei e costruisce ponti di mediazione situandosi nel vivo di un paesaggio sociale quanto mai aspro e frammentato.
Quella che in questo volume viene disegnata è pertanto un' etnopsichiatria della memoria e del presente, un'etnopsichiatria del conflitto e dei contraddittori processi di mimesi sociale . I suoi destinatari sono quanti, a diverso titolo (clinici, psicologi, psichiatri, studenti o ricercatori, mediatori culturali), s'interrogano sui profili individuali e sociali della migrazione e sulle dimensioni antropologiche della cura e della salute.
Per l'ampiezza dei riferimenti bibliografici e il costante rinvio alle questioni proprie della clinica e della psicoterapia degli immigrati, per le numerose incursioni fra le ricerche etnografiche e l'esplorazione critica di molte delle categorie della psichiatria culturale, questo volume rappresenta un contributo alla costruzione di un vero e proprio manuale di etnopsichiatria della migrazione.
Roberto Beneduce , psichiatra e psicoterapeuta, ha conseguito un dottorato in Anthropologie Sociale et Ethnologie presso l'EHESS, sotto la direzione di Marc Augé. Dopo aver svolto fra l'88 e il '93 ricerche in Mali sui sistemi di cura dogon dei disturbi mentali, è stato consulente per l'UNICEF in Eritrea e Etiopia, tra il '94 e il '97, in un progetto di ricerca sulle conseguenze psicologiche e sociali della guerra, e più recentemente per l'UNOPS in Mozambico, all'interno di un programma d'intervento contro la povertà e l'esclusione sociale. A Torino, dove da anni si occupa dei problemi connessi alla migrazione, ha fondato e diretto il Centro Frantz Fanon . Attualmente insegna Antropologia Culturale all'Università di Torino. Ha curato il volume Saperi, linguaggi e tecniche nei sistemi di cura tradizionali (Torino, 1997) e, con René Collignon, Il sorriso della volpe. Ideologie della morte, lutto e depressione in Africa (Napoli, 1995).