Esiste un vero e proprio "movimento", nella psicoanalisi e al di fuori di essa, che spinge a "dimenticare Freud". Spinge a ridurre la psicoanalisi a dialogo intersoggettivo tra due psichismi. A cancellare la sua natura traumatica in nome - e talvolta con l'alibi - del necessario approccio a nuove patologie e a diverse aree della psiche che richiedono nuovi strumenti terapeutici e di comprensione. Oppure in nome di nuove osservazioni "scientificamente" fondate. O, ancora, in nome dell'assimilazione della psicoanalisi alle altre scienze.

Occorre allora interrogarsi su cosa è depositato nel margine che così si scava - più che ai confini - nella stessa psicoanalisi, rimettendo in cantiere ciò che è rimasto o è messo a latere, impensato o rimosso, nello sviluppo della teoria psicoanalitica. Un ritorno, dunque, sui resti che il pensiero produce necessariamente nel suo progredire, per rintracciarne il motore e l'oggetto.

Indagare ciò che è spinto ai margini della psicoanalisi è quindi, in primo luogo, una prospettiva metodologica. E su questo rimosso i lavori qui raccolti rintracciano le prospettive accantonate, le esitazioni, i ripensamenti e le impasse che costituiscono ancora oggi parte essenziale dell'ineguagliato spessore della ricerca freudiana. Riesaminare temi come il sessuale, il destino, la scrittura, o come il perturbante, il mito, il vedere o il femminile, permette dunque di traguardare l'oggetto precipuo di quella ricerca: l'inconscio.